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LOMBALGIA CRONICA

Quale tecniche operatorie di stabilizzazione usare? Fusione o non - fusione

Premessa

Il crescente livello di benessere delle società economicamente più avanzate ha acuito il fabbisogno di salute per patologie dolorose, che un tempo erano considerate l'ineluttabile conseguenza del passare degli anni della vita.

Valga come esempio il mal di schiena, correlato alla malattia degenerativa vertebrale (chiamata anche artrosi), che colpisce ampi strati della popolazione e accompagna poi in maniera più o meno sopportabile la persona nella sua attività quotidiana.

I disturbi derivanti dal processo degenerativo interesseranno con l'aumento progressivo dell'età media della vita popolazioni numericamente sempre più estese . Nei paesi più sviluppati, nei quali il dolore è considerato un elemento lesivo al diritto di benssere dell'individuo, dunque, non c'è da meravigliarsi che esista una crescente domanda di alleviamento dei sintomi delle malattie degenerative.Le intense ricerche degli ultimi anni hanno consentito di fare luce sul processo degenerativo a carico del rachide identificando le caratteristiche cliniche e radiologiche dei diversi scalini del suo processo evolutivo (la cascata degenerativa della colonna vertebrale).

Il progresso tecnologico ha fatto tesoro di queste conoscenze sviluppando tecniche e mezzi terapeutici che consentono di intervenire selettivamente nelle diverse fasi della cascata degenerativa.Il compito del medico è di fare la diagnosi esatta della malattia e del suo stadio evolutivo e di scegliere i mezzi terapeutici più idonei rispettando i criteri della massima efficacia con i minori effetti collaterali.

Questo vale per le terapie farmacologiche e fisiatriche e, ancora di più, per le terapie chirurgiche (vedi scaletta), nelle quali

  • l'accesso deve essere effettuato con la minore invasività possibile rispetto all'organo da raggiungere e l'intervento da effettuare
  • la procedura chirurgica in se deve comportare la minore limitazione funzionale possibile in relazione ad alterazione o distruzione di strutture anatomiche, anche in considerazione del crescente sviluppo e impiegi di nuove tecnologie basate sulla riparazione tissutale mediante impianti cellulari.

Un minimo di anatomia

Le vertebre sono tenute assieme da legameneti ed articolazioni, che consentono, che tra di loro possa esserci un ambito di movimento, ma impediscono che questo movimento superi certi limiti.

Le articolazioni tra due vertebre sono costituite, nella loro parte anteriore dal disco intervertebrale e, in quella posteriore, dalle articolazioni apofisarie. Il disco è composto da un anello fibroso, ancorato lungo il perimetro esterno dei piatti vertebrali, che contiene il nucleo polposo, un materiale gelatinoso ma incomprimibile, che mantiene distanziati i corpi vertebrali. Le articolazioni apofisarie permettono che le vertebre possano muoversi, una rispetta all'altra, consentendo la flesso-estensione e rotazione della colonna lombare.

 

Un accenno alla cascata degenerativa artrosica

La cascata degenerativa viene scatenata in primis da processi involutivi del disco, sia a carico del nucleo polposo sia dell'anulus. Di conseguenza il disco diviene meno responsivo alle sollecitazioni, si abbassa in altezza e l'anulus fibroso si allenta. Questo comporta una riduzione della capacità del disco di mantenere entro i limiti previsti l'ampiezza dei movimenti consentiti al segmento di moto, di cui fa parte. Il persistere di questa condizione determina una maggiore sollecitazione della apofisi articolari, sia perchè una maggiore quantità di carico si sposta su di esse sia perchè viene meno l'aiuto fornito dal disco nel contenere i movimenti del segmento di moto. Sin dall'inizio la conseguenza funzionale del processo degenerativo è quindi la microinstabilità che si viene ad istaurare a carico del segmento di moto. Questa condizione può determinare dolori di origine discale e/o articolare.L'organismo reagisce alla instabilità cercando di immobilizzare quel segmento di moto e appone tessuto osseo (osteofiti) lungo i bordi delle'articolazioni discale e apofisarie (bloccarle mediante ossificazione). Purtroppo da questo processo di autoriparazione naturale che tende ad arrivare ad una stabilizzazione naturale delle due vertebre, possono scaturire tutta una serie di complicazioni a carico di midollo e nervi contenuti nel canale midollare e nei forami intervertebrali (stenosi canalari).

Dati recenti

Recentemente la ricerca nel settore ha raccolto dei dati, dai quali sembra apparire, che, se si stabilizza artificialmnete mediante sistemi esterni un disco che è in fase di degenerazione iniziale, questo disco presenta un inversione di tendenza del processo degenerativo e inizia a riapparire normale. Quindi, se il disco "malato" viene, per così dire, "messo a riposo" da una stabilizzazone artificiale, che impedisca i movimenti anomali consentendo però le normali escursioni, questo disco tende a guarire. Le ricerche sono ancora in corso per verificare, se il fenomeno verrà confermato su larga scala, ma, visti questi dati iniziali, a molti ricercatori e medici sembra, quindi, più che opportuno evitare, nell'intento di togliere il dolore al paziente, qualsiasi intervento che leda ulteriormente il disco.

Tecniche chirurgiche, vecchie e nuove, per la cura della lombalgia

Analizziamo, quindi, le varie tecniche prendendo come esempio la loro applicazione nella lombalgia cronica da degenerazione vertebrale (detta anche artrosi).

1) Fusione Rappresenta la tecnica più antica. Collegando due vertebre adiacenti con un ponte di tessuto osseo abbastanza consistente esse si fondono in un unico pezzo e qualsiasi movimento del segmento di moto viene impedito: sono in uso diverse tecniche

  • fusione postero-laterale (viene realizzata apponenedo tessuto osseo lungo la parte posteriore e laterale di due veretbre adiacenti il cui movimento si vuole bloccare; l'osso appoggiato alle due vertebre, dopo alcuni messi si fonde, legando stabilmente le vertebre)
  • PLIF o posterior lumbar interbody fusion (con questa tecnica il disco tra due vertebre viene completamente rimosso e sostituito da un innesto osseo; questo poi fondendosi unisce le due veretbre adiacenti; la fusione viene detta posteriore perchè l'osso è introdotto da dietro tra i corpi vertebrali; la PLIF può essere effettuata utilizzando gabbiette, cilindri o altri dispositivi riempiti di osso allo scopo di impedire, che l'innesto osseo possa collassare sotto il peso del corpo; al posto di un innesto osseo prelevato al paziente stesso può essere usato osso di donatore umano o animale o sostituto di osso)
  • ALIF o anterior lumbar interbody fusion (differisce dalla precedente soltanto per la modalità di introduzione dell'innesto osseo, che avviene attraverso un accesso anteriore trans- o retroperitoneale, mini-invasivo o endoscopico; presenta il vantaggio che, per collocare l'osso, non si deve invadere la spazio del canale spinale)
  • la fusione può essere strumentata o non strumentata (si dice strumentata quando per favorire l'attecchimento dell'innesto osseo, dovunque esso venga collocato, le vertebre del segmento di moto vengono immobilizzate con placche/barre e/o viti; la strumentazione favorisce notevolmente la probabilità che la fusione delle vertebre con linnesto riesca e non vada incontro a pseudo-artrosi, ossia al mancato attecchimentodell'innesto ad una o entrambe le verterbe da unire e, quindi, al fallimento della procedura di fusione)

Da fare notare è anche, che la fusione di un segmento di moto sembra faccia accelerare la degenerazione dei segmenti adiacenti favorendo in un certo senso l'insorgenza di futuri problemi. Si vede, dunque, che questa tecnica rimane indicata, quando il segemento di moto ha subito già lesioni degenerative molto gravi e non più recuperabili ed è vicino ad una fusione naturale o quando tecnicamente non sono eseguibili altre procedure.

2) Stabilizzazone dinamica Questo tipo di stabilizzazione viene considerata dinamica in quanto consente di conservare o ristabilire la mobilità del segmento di moto.

-Stabilizzazione mediante protesi esterne al disco

Tecnica recente che con dispositivi di stabilizzazione particolari limita il movimento anomalo in corrispondenza di un segmento di moto senza immobilizzarlo del tutto. I dispositivi sono applicati ai corpi vertebrali o tra le vertebre senza invadere il disco. E' applicabile sia nelle lesioni iniziali del disco che nelle lesioni degenerative un po più avanzate, anche quando si è sviluppata formazione di osteofiti.. Esistono diversi dispositivi tra cui

  • spaziatori interspinosi (scaricano la eccessiva pressione sulle articolazioni apofisarie che deriva dall'abbassamento discale, mettono in tensione la capsule articolari e l'anulus riducendo la microinstabilità)
  • sistema Dynesis (sistema composto da una componenete spaziatrice per aumentare la distanza tra due corpi vertebrali, scaricando così le articoalzioni apofisarie e aumentando l'altezza discale, e da una componente tensile che interviene nell'impedire un eccessiva mobilità delle vertebre; in alcuni pazienti si è osservata la regressione delle alterazioni degenerative discali iniziali)
  • sistemi di stabilizzazione elastica (distanziano e immobilizzano le vertebre senza fonderle; l'aumentata elasticità del sistema impedisce alla lunga un cedimento dell'impianto e previene la fusione naturale)
  • barre elastiche

Stabilizzazione mediante protesi discali totali

Tecnica recente con la quale si sostituisce il disco naturale con un disco meccanico artificiale. Il disco artificiale recupera la normale mobilità dell'articolazione. Presuppone che non vi sia ancora un processo degenerativo a carico delle articolari. Il disco naturale viene completamente escisso. Quello artificiale viene impiantato per via anteriore retro- o transperitoneale

-Stabilizzazione mediante protesi di nucleo

Tecniche recenti con le quali viene rimosso il nucleo polposo (ossia la parte centrale del disco costituita da proteoglicani imbevuti di acqua, che è andata incontro a degenerazione e a frammentazione). Il nucleo naturale è sostituito con un nucleo artificiale che ristabilisce l'altezza discale e riceve pienamente il peso. Si riequilibra così il carico scaricando le apofisi articolari. Sono in fase di sperimentazione diversi materiali. Le vie di approccio possono essere posteriori o laterali. La tecnica presuppone che non vi siano ancora alterazioni artrosiche ai piatti vertebrali e alle articolari; comporta evidentemente la rimozione completa del nucleo polposo che quindi non può piò guarire

-Stabilizzazioni biologiche

Sono in studio tecniche di rigenerazione discale lombare che utilizzano cellule discali prelevate al paziente e poi reintrodotte nel disco dopo averle moltiplicate in cultura. Il prelievo può avvenire pungendo direttamente il disco o in occasione di interventi per ernia discale. L'obbiettivo è che le cellule reinfuse in grande quantità assieme ai loro fattori di crescita possano rigenerare il disco malato.

3) Tecniche discoablative

Si tratta di tecniche mini-invasive, ma solo per quanto riguarda l'accesso al disco, che avviene per via percutanea o endoscopica. Vengono usata per la terapia delle ernie discali contenute e agiscono arrecando una lesione al nucleo polposo. A fronte di un vantaggio immediato nell'eliminare l'ernia, riducono la quantità di nucleo polposo e favoriscono lo sviluppo di instabilità e lombalgia. Esistono diverse metodiche:

  • nucleoaspirazione (comporta la rimozione completa del nucleo polposo degenerato, ma non ristabilisce l'altezza discale e, quindi non ferma la cascata degenerativa; esplica la sua azione maggiore in caso di ernie contenute in quanto lo svuotamento dall'interno dello spazio discale favorisce un rientro della protrusione erniaria)
  • laserdiscectomia e coblazione (come sopra; comportano la riduzione volumetrica del nucleo polposo senza arrestare la cascata degenerativa)
  • ozonoterapia intradiscale (come sopra; determina una ulteriore disidratazione del nucleo polposo e conseguente riduzione del suo volume senza arrestare la cascata degenerativa)
  • chemionucleolisi (comporta l'introduzione di un enzima che digerisce il materiale discale svuotando completamente lo spazio intervertebrale; era un tempo usata per rimuovere le ernie contenue)
  • IDET e altre tecniche di termocoagulazione (vengono eseguite a scopo antalgico e comportano la lesione termica delle terminazioni nervose dell'anulus, ritenute responsabili della sintomatologia dolorosa lombalgica di origine discale; l'effetto termico potrebbe avere un'azione lesiva sul nucleo polposo)
ConclusioneIn conclusione le tecniche chirurgiche trovano uno spazio applicativo diverso secondo la stato di avanzamento del processo degenerativo.
  • nella fase avanzata e finale trova indicazione la fusione (postero-laterale o intersomatica, strumentata, con o senza cage intervertebrali)
  • nella fase intermedia, in cui si ha degenerazione discale avanzata senza che però vi siano importanti fatti degenerativi a carico della articolari apofisarie possono trovare indicazione le protesi discali totali o le protesi di nucleo polposo, così come le stabilizzazioni dinamiche con protesi esterne al disco
  • nella fase iniziale, nella quale la degenerazione discale è ancora iniziale e non ha superato il punto di non ritorno e, quindi, è reversibile dovrebbero essere evitate tutte le tecniche che alterano ulteriormente o rimuovono il disco e dovrebbero essere favorite le stabilizzazioni dinamiche con protesi esterne al disco
La ricerca adesso quindi verterà sul punto di irreversibilità del processo degenerativo discale, che stabilisce il punto al di la del quale sono consentite le tecniche operatorie più aggresive e distruttive sulle strutture anatomiche alterate.

Vista la vastità e complessità dell'argomento non sono state prese in considerazione

  • possibili complicanze e controindicazioni legate alla via di accesso
  • gradi di invasività di accesso diversi delle varie tecniche
  • specifici effetti collaterali e complicanze legate alle diverse procedure
  • limitazioni tecniche d'impiantabilità di alcuni dispositivi in base al livello del disco intervertebrale (!!L5-S1 disco difficile!!)
  • stadio di avanzameto degli studi clinici del sistema di stabilizzazione per quanto attiene durata del follow-up e risultati
  • ecc
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